Copì nasce a Buenos Aires nel 1939. Il suo vero nome è Raúl Damonte Taborda. Legato a filo doppio con origini indie, ebree ed europee, il bisnonno paterno era partito dalla Liguria per il Sud America a metà ‘800 con le prime grandi migrazioni italiane, Copì cresce in una famiglia multietnica, dove si coltivano le arti, la letteratura, il teatro, la passione politica. La madre è scultrice, la nonna drammaturga, il padre attivista politico è giornalista come il nonno fondatore di “Crítica”, una delle riviste intellettuali di opposizione alla dittatura peronista.
Il clima intellettuale argentino passa attraverso la sua infanzia segnandolo, Federico García Lorca, ma anche Eugene O’Neill, che certamente influenza le sue prime vignette pubblicate nella rivista “Tía Vicenta”. In seguito alle violente persecuzioni del regime la famiglia è costretta a spostarsi in Uruguay prima e a Parigi poi, dove, dopo alterne vicende Copì decide di stabilirsi definitivamente. E mentre vende i suoi disegni già così fortemente radicali nei café di Saint-Germain-desPrés lo notano Jean-Jacques Pauvert (1926-2014), l’editore di “Bizarre”, che lo pubblicherà tra l’altro nella sua rivista “L’Enragé”, con Siné, Reiser, Cabu, Wolinski e i redattori di “Le Nouvel Observateur”, dove nel 1964 farà la sua prima apparizione il celebre personaggio de “La donna seduta”. Il pubblico decreta un successo immediato verso questa insolita protagonista di disegni a fumetti, per niente avventurosa, al contrario, ma caustica e senza nessuna remora che lascia interdetti i lettori. Copì la disegnerà per almeno un decennio, oltre ad altri personaggi come Madame Roux e Madame Pignoux, collaborando in riviste e giornali come “Hara-Kiri”, “Charlie Hebdo”, “Libération” e in Italia “Linus”.
Nella Parigi degli anni ’60 e ’70 Copì frequenta i circoli della cultura più d’avanguardia, molto amico di Roland Topor, che illustrerà la copertina del suo primo romanzo, “L’Uruguayen” (1973), si avvicina al Movimento Panico, post surrealista, di Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Sempre più si rafforza la sua verve grottesca e spinta a sovvertire le logiche anche di scrittura e sintassi borghese, sia nelle piece teatrali che nei testi letterari, che nelle tavole dei fumetti. I suoi disegni a fumetti destrutturano le tavole suddivise in vignette, spiazzando i personaggi che dialogano ‘a tu per tu’ con comprimari improbabili, buffi animali, bambini… di argomenti tabù, il sesso, le relazioni umane ordinarie che diventano straordinarie come lo sono effettivamente nella realtà.
Straordinarie e sorprendenti, se non proprio spiazzanti, spesso urtanti e offensive del resto, quando a scomodarsi è la Morale borghese contro l’Etica civile. La drammaturgia, al contrario di quanto possa apparire, è stringente, una intelaiatura precisa che gli permette di contrassegnare negli spazi i silenzi e i tempi che sono molto vicini a quelli teatrali. Mai vuoti o ‘assenti’, invece pieni dei non-detti, più pregnanti di lunghi monologhi. Gli stessi protagonisti dei dialoghi sono rappresentati con segni minimali, all’estremo della loro rappresentabilità, come possono essere labili i confini delle distinzioni tra i sessi, le età, i generi anche umani e animali.
La scelta di avvicendare a figure umane, cani, cavalli, strani uccelli, polli, paperi, ibridi, ha come riferimento un grande umorista americano James Thurber (1894-1961), anch’egli in grado di spiazzare il lettore con dialoghi al limite dell’assurdo. Copì si spinge oltre l’umorismo e arriva al grottesco sull’onda del post surrealismo e della personale ricerca di scrittore teatrale. Dal suo debutto riconosciamo l’impronta di famiglia, nel ’70 presenta infatti “Eva Perón” con attore principale Facundo Bo, en travesti, in collaborazione con Jorge Lavelli e Jérôme Savary e la compagnia di Alfredo Arias, il Groupe Tse. Lo spettacolo subisce un attentato e sarà interdetto dall’Argentina. Tacciata come macarade macabre da “Figaro” è la prima di una lunga serie di irriverenti rappresentazioni come il celebre “Le Frigo”, “Le Femme assise”, “Loretta Strong” che ha scritto e interpretato, fino all’ultima “Une visite inopportune” che irride anche l’esito fatale e ineluttabile delle nostre vite, la Morte. Una visita inopportuna che gli toglie la possibilità di vedere in scena lo spettacolo, un’ uscita di scena che è essa stessa un atto teatrale che la sposta dalla sfera prosaica a quella poetica e letteraria, quindi immortale. Così era Copì, uno che riusciva a giocare anche con la Morte, la Morale, il Sesso, l’Omosessualità, anche l’AIDS che lo colpisce in prima persona. Temi che non sono affatto superati e che ritroviamo ancora pare irrimediabilmente ancora Tabù.
In Italia lo lancia Giovanni Gandini (1929-2006), storico fondatore di “Linus”, che pubblica “la Donna seduta” nel 1967 e la raccolta “Non oso, madame” (Milano Libri 1973), cui seguiranno a ruota “Storie puttanesche” (Mondadori, Milano 1979), “Il fantastico mondo dei gay… e delle loro mamme!” (Glénat, Milano 1987), “I polli non hanno sedie” (Mondadori, Milano 1969).
Gandini è affascinato da Copì e gli propone di realizzare un libro per bambini, che pubblica nel 1970. Si intitolerà “Un libro bianco”, dove Copì si diverte a sfidare il lettore alternando alle pagine con i suoi icastici disegni di un bambino che ‘si disegna e si cancella’, pagine del tutto bianche a contrassegnare gli intervalli di lettura, i cosiddetti ‘tempi morti’ dove tutto può succedere basta farlo e volerlo far succedere.
Rivedere oggi le tavole da “Les Filles n’ont pas de banane”, con i dialoghi fuori dal comune senso del pudore tra madre e figlia, pubblicate nel 1987, proprio l’anno della morte di Copì, da Christian Bourgois, è un respiro d’ossigeno ancora anticonformista che fa bene al cuore e alla mente. Possiamo appuntare simbolicamente uno dei messaggi scritti a Giovanni Gandini, così come descritta nell’introduzione all’edizione francese del 2002 di “Un livre blanc”, sui fogli a quadretti, alla consegna delle tavole dei disegni “Sto dormendo, svegliame se hai bisogno di cualcosa”.
Paola Bristot, in “Linus”, ottobre 2018