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foto di Daniela Parisi

Il Teatro per me è sempre stata un’intuizione di desiderio, che fino ai vent’anni è stato un po’ a guardare. Prima di allora i miei interessi e i miei sforzi li avevo investiti tutti nel calcio, riuscendo anche a raccogliere grandi frutti. Il mio inserimento nel “calcio dei grandi”, come di solito si usa definirlo, è durato pochissimo a causa di due infortuni avvenuti in momenti molto vicini e cruciali per la mia carriera sportiva.

Ed è a questo punto che il Teatro, da piccola intuizione, si è fatto strada nel mio desiderio e nella mia delusione, diventando così una vera e propria curiosità di Fare.

Il mio primo passo verso questa curiosità di Fare, è avvenuto tra le mura dell’Accademia dello Spettacolo di Milano, e dopo un anno, attraverso il consiglio di un mio insegnate, sono arrivato a Comteatro.

Qui, attraverso il lavoro e l’aiuto di Claudio Orlandini e dell’intero staff, il Teatro si è trasformato in un qualche cosa di essenziale e di vitale: un bisogno sorprendente per l’intensità in cui si stava manifestando.

Per tre anni ho tentato di conciliare questi due mondi, per un periodo assumendo anche il ruolo di allenatore per giovani portieri; ma se il calcio diventava sempre più un ricordo quasi romantico di un passato che non avrei più potuto rivivere; il Teatro invece diventava sempre più una voglia d’identità.

Così, di fronte a questa chiara e forte dichiarazione di un mondo mio espressivo, ho lasciato il calcio, per dedicarmi interamente al Teatro.

Il mio percorso di allievo a Comteatro è durato quattro anni, e per ognuno posso individuare dei passaggi fondamentali per il mio percorso creativo. Il primo anno è stato una continua lotta con un corpo molto strutturato, atletico, frenetico e non organico, poco morbido e poco disponibile. Da qui un lavoro continuo sul destrutturarlo e toglierlo dalle abitudini. Il secondo anno lo dedicherei invece al suono, alla sua riscoperta coraggiosa, e al dargli forma con parole donate ad un fuori; parole che fino ad allora erano rimaste piccole e private. Il terzo anno invece, è stato un far combaciare tutto il lavoro fatto, un far aderire corpo, suono, spazio, per poter ascoltare e poi contattare una mia vita sensoriale, emotiva ed espressiva; lavoro che si è protratto per tutto il quarto anno cercando di renderlo sempre più visibile, aperto verso un modo esterno, e soprattutto a servizio della scena.

Al termine di questi quattro anni, ho collaborato con Comteatro all’organizzazione di un evento per bambini, al termine del quale, in un colloquio con Claudio Orlandini, inaspettatamente mi ha chiesto di entrare a far parte dello staff. E con molta gioia, eccomi qua.